Travels

Da Mosca a Ekaterinburg, prosegue l’emozionante viaggi di Giulio direzione Pechino

Di Giulio Valli 

#DayTwentyOne -> Moscow 🇷🇺

“Sono gli altri le strade, io sono una piazza, non porto in nessun posto, io sono un posto.”
(Alessandro Baricco)

Il controllore si ostina a parlarmi in russo e pretende pure di essere capito, mannaggia a lui. Finalmente il treno parte. Mi rifugio nel vagone ristorante, in buona compagnia, lontano dal fetore che ha ampiamente riempito il modesto spazio della cabina. A tutto ci si abitua, ma rinviare è lecito, perciò perché non farlo?!Totalmente fuso vago per Mosca nel disperato tentativo di gestire il “non sonno”. Giro l’angolo. Piazza Rossa vale da sola il prezzo del biglietto. È magica. Welcome to real Russia. Son di nuovo presente.

mosca

#DayTwentyTwo -> Moscow 🇷🇺

“Se manca qualcosa alla tua vita è perché non hai guardato abbastanza in alto.”
(Romano Battaglia)

A NYC si sorseggiano Manhattan, qui Moscow Mule.

I grattacieli si specchiano vanitosi sul fiume, cosicché chi è troppo triste per alzare lo sguardo possa comunque rimirarli. Sono arroganti ma magnifici, non c’è che dire.

La capitale russa conserva il suo cuore rosso nel centro, ma non rinuncia a crescere. Guarda verso l’alto.

Quattro chilometri più in là, la luna è bianca e le stelle rosse brillano instancabili sulla cima di molti edifici. Ieri pomeriggio ho descritto Piazza Rossa come il luogo più magico che abbia mai visto. Mi sbagliavo, di notte riesce a superare se stessa, ed incanta. Era giusto salutarla ancora una volta.

#DayTwentyThree -> From Moscow 🇷🇺 to Ekaterinburg 🇷🇺

“Non c’è treno che non prenderei, non importa dove sia diretto.”
(Edna St. Vincent Millay)

Generalmente saluto le città e me ne vado. Quest’oggi invece è Mosca a salutare me. Se ne va di mattina presto insieme a Maria che per due giorni è stata con me, guidandomi in ogni dove. Improvvisamente mi trovo solo, analfabeta e senza la possibilità di comunicare. La percezione della città cambia in un istante, sento una Russia fredda e ostile, ma non me ne curo, è tempo di ripartire. Impiego ore a raggiungere la stazione ma l’avevo preventivato, e sono comunque in anticipo.

La Pecora Nera – pagina ufficiale ci siamo, Eccolo il famoso treno!”. Lo percorro tutto, pecora in spalla, fino alla carrozza numero uno, la nostra.

transiberiana

I sogni viaggiano in terza classe, non c’è dubbio. Ci sono bambini, anziani, famiglie e matti con lo zaino enorme. Il vagone non ha scomparti, il biglietto non prevede privacy. Si condivide ogni singolo centimetro. Il corridoio non è null’altro che un piccolo spazio tra un letto e l’altro ed è un cimitero di bagagli. La mia cuccetta che sta in alto è piena di valige di qualcun altro così mi siedo insieme a una nonna con due bimbe che a gesti mi fanno capire che posso star con loro. È bellissimo. Non mi sono mai sentito così vivo. Sono nel posto giusto al momento giusto.

Il vagone si riempie di odori. Uova, cetrioli e qualche spezia sconosciuta. Le valigie di alcuni contengono il necessario a trasformare il metro quadrato a disposizione in “casa propria”. Fuori la tovaglia e la tavola viene imbandita. Il violino in sottofondo viene coperto da un concerto di carta stagnola che suonando scopre la cena di molti. Mi godo la scena rannicchiato, non posso fare altrimenti, i piedi sono comunque a sbalzo e galleggiano nel corridoio.

No non voglio fare amicizie. Non oggi. Voglio godermi la solitudine. Voglio essere uno spettatore esterno. Un testimone di questi sogni che si spostano su rotaia. Voglio leggere, guardare fuori dal vetro e piangere. Infondo è bello lasciarsi emozionare.

#DayTwentyFour -> From Moscow 🇷🇺 to Ekaterinburg again 🇷🇺

Viaggiare è essere infedeli. Siatelo senza rimorsi. Dimenticate i vostri amici per degli sconosciuti. (Paul Morand)

Un omaccione continua a parlarmi in russo. Ho una mezza idea di non stargli molto simpatico. Ha un dente d’oro ed è grosso abbastanza per aver la meglio su un grizzly. Alziamo una valigia insieme e ricevo un pollice verso l’alto, ora forse siamo amici.

Io sono per tutti “l’Angliski” ovvero un essere mitologico che non sa una parola di russo. L’omaccione dal dente d’oro mi porge un bicchiere e mi invita a brindare. Non esito, mi è stato consigliato così. È acqua, almeno sembra esserlo, è andata bene.

Il treno si ferma. C’è una stazione. Scendo e mi guardo intorno, caricando nel frattempo la pipa, pressandola il giusto. Il segreto per una buona fumata sta tutto li. Uno sciame di signore tenta di vendere di tutto: dalla cena dall’aspetto poco salutare ai più pacchiani souvenir mai visti.

Un ragazzo si avvicina ed inizia a parlarmi in un russo fluente arricchito di gesti e io che son l’Angliski non posso che rispondere un po’ in inglese e un po’ in italiano. Inutile, passo al piano B: faccio parlar le mani. Parliamo per quasi un’ora, ognuno la sua lingua senza dare minimamente peso al fatto che in realtà nessuno dei due capisce un beato cazzo di quel che dice l’altro. Arrivo così a concludere che Henrik viene da un paesino della Siberia, molto a nord. D’inverno le temperature li arrivano a meno sei dita e poi ambo i pugni chiusi, si meno 60 non c’è dubbio. Lavora (rabota) a Mosca e qui mi vien da azzardare grazie al mimo, come controllore di saldature di metanodotti e oleodotti. Quel che è certo è che gli riempiono le tasche di soldi e trascorre così 2 mesi al lavoro, e poi con 2 giorni e mezzo di treno torna a casa dove si ferma addirittura 3 mesi. La sua Yahmaha S850 lo aspetta per essere scatenata sulla neve. Alla fine si scusa, in Angliski a scuola aveva 2 (credo il massimo sia 5). Scrollo le spalle, ma che importa?! Noi siamo forti a gesti! Pollice verso l’alto: sei un grande Henrik.

La leggenda vuole che ogni mamma insegni al proprio bambino a non accettare cibo dagli sconosciuti. Il mio personale consiglio invece è quello di non rifiutarlo. Mai.

Sobbalzo, qualcuno mi sta scuotendo. È Alexander. Piccolo, rosso di capelli, tarchiatello, sulla quarantina e credo abbastanza ubriaco, seppur simpatico e non molesto. Mi fa un gesto e lo seguo. Vodka e uovo sodo per colazione, non batto ciglio, un invito è un invito, non si rifiuta. L’omaccione dal dente d’oro si sente toccato nell’orgoglio, vuole essere lui il più ospitale. Insieme ad una coppia di vecchietti e a sua moglie mi accomodo al tavolino. Che il pranzo abbia inizio: grasso di pesce, uova di nuovo, burro, pollo arrostito, cetrioli crudi. Tutto va intinto nel sale rovesciato su un giornale e nulla va rifiutato. I nonni sono uguali in tutto il mondo, se non mangi si preoccupano. Loro di me sanno solo quattro cose: Giulio, Angliski, Student, Eikatemburg eppure se le fan bastare e mi fan sentire parte della famiglia più bizzarra al mondo. Ceno con un’altra famiglia ancora. Sono in 5 ma non vogliono sentire repliche si stringono perché io sia il sesto. E non faccio in tempo ad alzarmi che una signora si avvicina con un pomodoro, un cetriolo e un fazzoletto pieno di sale. Intanto la steppa corre dietro al finestrino. Sterminata. Mi emoziono di nuovo. Se un giorno vi dovesse capitare di non credere più nell’umanità, prendete un treno in terza classe lasciando a casa le vostre convinzioni, a me “ha cambiato il colore del cielo”.

MAMMA VADO IN ERASMUS 🇮🇹🏃🏻🇨🇳

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